domenica 19 dicembre 2010

Farina, acqua, aria di mare, sole


Farina, acqua, aria di mare, sole
GRAGNANO - Scelgo di sostare ancora per un po’ nell’affascinante suggestivo scenario dei Monti Lattari, non allontanandomi troppo dal verde e dagli scorci di Pimonte. La mia tappa è questa volta la città di Gragnano, situata più in basso rispetto a Pimonte e circondata quasi a ferro di cavallo dalle colline che costituiscono le prime propaggini dei Monti Lattari.

Gragnano è un antico centro abitato fin dall’epoca pre-romana dagli osci e dai sanniti. Conquistata dai Romani, la città divenne un importante territorio agricolo dove sorgevano numerose villae rusticae, abitazioni di campagna appartenenti a ricchi coloni romani, dimora dei servi che si occupavano delle proprietà attorno alla villa. Sono diversi i ritrovamenti di resti di queste ville, come quella dell’Ogliaro, la cosiddetta villa “dei Medici” e quella rinvenuta in località Sassola, sulle cui pareti è stato rinvenuto un affresco raffigurante Bacco che versa il vino da un corno, ora custodito al Museo Nazionale di Napoli.

Nonostante il notevole sviluppo dell’agglomerato urbano e la crescente impronta dell’uomo, Gragnano ha conservato intatto il suo meraviglioso pae -saggio naturale, fatto di valloncelli, dossi e poggi panoramici a picco sulla piana di Pompei, che offrono splendide vedute di Castellammare e del Golfo con le isole e il Vesuvio. Un paesaggio a tratti alpestre, rupestre, pastorizio, ricco di vegetazione dove dominano vigneti, uliveti e boschi di lecci, noci e castagni che si susseguono anche nella famosa “Valle dei Mulini”, dove fino al secolo scorso erano attivi 25 mulini ad acqua adibiti alla macina del grano. Il prodotto di questi mulini veniva poi portato a dorso di mulo su in paese dove veniva trasformato nella bontà che ha reso celebre Gragnano in tutto il mondo e che mi ha spinto in questo splendido paese: la pasta.

La pasta è un alimento conosciuto fin dall’antichità, già Cicerone e Orazio, infatti, ben cento anni prima di Cristo, erano ghiotti di làgana (termine che deriva dal greco laganos da cui il latino làganum che designava una schiacciata di farina, senza lievito, cotta in acqua, la forma plurale làgana indica strisce di pasta sottile fatte in farina e acqua, da cui derivano le nostre lasagne). Fu il cuoco Apicio a lasciarci la prima vera documentazione sull'esistenza di un composto assai simile alla nostra pasta; nel suo "De re coquinaria libri" infatti egli descrive un timballo racchiuso entro làgana. La pasta, così come la conosciamo oggi, si pensa sia originaria della Sicilia, da dove di diffuse in tutta Italia e nel mondo arabo.

Ma è in Campania e in particolar modo nella zona del napoletano che la pasta riscuote il maggior successo, divenendo nel XVII secolo l’alimento ideale a fronteggiare le necessità della sempre crescente popolazione; non per niente i tradizionali “maccaroni” vengono associati inscindibilmente alla città partenopea. Più di ogni altro luogo campano è però la città di Gragnano ad avere acquisito da oltre 500 anni il primato nella produzione della pasta. Nel periodo che va dal 1500 al 160 ha infatti inizio la produzione dei cosiddetti "maccheroni" per uso familiare, realizzati con farina di semola di grano duro, che veniva, appunto, macinata nei mulini dell’omonima valle. Dopo il 1950 sorsero le prime industrie a conduzione familiare dedicate alla produzione della pasta, attività che ben presto si espanse al punto di divenire la principale occupazione dei Gragnanesi.

La natura ha provveduto a rendere Gragnano il luogo ideale per la produzione di questa eccellenza gastronomica: il clima caldo, ma mai umido, grazie alla vicinanza col mare, determinano l'ambiente ideale per l'essiccazione della pasta. In origine questa veniva fatta per le strette strade della città, anche dopo l'istituzione dei primi pastifici intorno al ‘600. Oggi la produzione, seppur moltiplicata grazie a numerosi pastifici, segue ancora la lavorazione artigianale, caratterizzata dalla trafilatura in bronzo e dall'essiccazione naturale, che conferisce alla pasta un ineguagliato livello di qualità, oltre che il tipico colore dorato nel quale si riflettono i raggi del sole assorbiti dal grano.

Vari e diversi i formati di pasta prodotti a Gragnano, spaghetti, candele, rigatoni, ma soprattutto i tradizionali paccheri, noti per la loro grandezza e per essere adatti ad essere consumati sia con il semplice pomodoro che con sughi più elaborati a base di pesce o carne. Un tempo conosciuti come “la pasta dei poveri” poiché per le loro dimensioni ne era sufficiente un numero esiguo per riempire il piatto, vennero ben presto apprezzati anche dai nobili napoletani e oggi più che mai sono presenti sulle tavole di buongustai ed estimatori.
Già pubblicato su www.marigliano.net
Fotografie SEMA, 2009, Giuseppe Ottaiano © tutti i diritti riservati, la riproduzione di questa foto è vietata ai sensi legge 633/41 e successive modifiche e integrazioni.

domenica 12 dicembre 2010

Le “cerase” di Pimonte, mostri di bont


 

Le “cerase” di Pimonte, mostri di bontà
Dal monte ai cui piedi mi sono per un po’ soffermato, il Vesuvio, mi sposto verso altre montagne, forse meno note, ma non per questo meno affascinanti. Mi dirigo verso i Monti Lattari, la catena montuosa, istituita a Parco Regionale, che rappresenta il prolungamento occidentale dei Monti Picentini dell'Appennino Campano, costeggia l'Agro nocerino-sarnese e si protende infine nel mar Tirreno formando la Penisola Sorrentina.

Più precisamente la mia meta è rappresentata, stavolta, da un piccolo paese situato in uno dei punti suggestivi di queste montagne. Si tratta del Comune di Pimonte, il cui abitato si divide in due zone principali: un’area pedemontana e collinare e una montana, ricca di sentieri di cui alcuni sopravvivono sulle tracce di antiche mulattiere. Questi conducono in zone di suggestivo fascino naturalistico e di grande interesse storico, come la cresta del Monte Pendolo e l’area cosiddetta del “Belvedere”.

E’ un luogo particolare, immerso nel verde, eppure non troppo lontano dal limpido mare della costiera sorrentina, in cui la bellezza naturale del paesaggio è impreziosita dalle testimonianze storiche lasciate dall’uomo, come i due castelli di Pino e Pimonte, fondati dagli Amalfitani, al tempo in cui la città si era costituita Repubblica Marinara, per difendere le zone interne dei propri domini dalle invasioni longobarde e saracene. Ma l’uomo ha inciso sul paesaggio naturale anche grazie ad altri importati interventi, come le coltivazioni avviate lungo i fianchi della montagna, tra le quali si distinguono quelle che rappresentano il vero motivo della mia visita in questo piccolo paese montano: le coltivazioni di ciliegie. La ciliegia può vantare una lunga e antica tradizione in Campania.

Apprezzata fin dal tempo dei romani, appare, al pari di altra frutta campana di pregio, raffigurata negli affreschi pompeiani, anche se le prime vere testimonianze storiche della sua presenza in Campania risalgono al 1550. Queste attribuiscono l’introduzione della cultura del ciliegio nel napoletano a Gaspare Ricca che, sposando una nobildonna di Marano, divenne proprietario di un ampio appezzamento di terreno che si estendeva fino all’attuale quartiere partenopeo di Pianura.

La denominazione 
“Arecca”, che oggi individua la collina di Marano e la cultivar di ciliegie prodotte in quest’area, (la Della Recca), deriverebbe appunto dalla deformazione del cognome del proprietario, Recca. Nei secoli scorsi, durante il mese di Giugno, i muli facevano di continuo la spola tra le colline di Chiaiano e Marano e i magazzini dove avveniva la sistemazione delle ciliegie nelle cosiddette “varriate”, grandi ceste rettangolari, sostituite in seguito dalle “ cerasare”, più piccole e pratiche.

L’elevata qualità della Ciliegia Napoletana ha consentito l’estendersi di questa coltivazione ad altre località della Campania, tra queste, appunto, i Monti Lattari e in particolare Pimonte. Sono numerose le varietà di ciliegia che si possono trovare nella nostra regione, quali la Malizia, la Lustra, la Cornaiola, la Francese, ma la mia attenzione è dedicata ad una varietà poco nota ma incredibilmente gustosa, la cosiddetta “Cerasa do’ mostro” di Pimonte, così amichevolmente chiamata dai contadini locali per la “mostruosa” dimensione che la caratterizza. Di forma tondeggiante, di colore rosso scuro, dalla polpa soda e succosa, si tratta di una varietà di ciliegia che matura tra fine giugno e prima decade di luglio, una ciliegia, dunque, appartenente alla categoria delle tardive.

Questa varietà di ciliegia rappresenta un ecotipo unico, sviluppatasi sicuramente grazie alla particolare geomorfologia del territorio che consente alle coltivazioni di beneficiare di un clima fresco, quasi alpino, mitigato, inoltre, dalle brezze che spirano dalla vicina costa. La particolare grandezza di questi frutti esalta le già importanti proprietà nutritive della ciliegia, ricca di potassio, acidi organici, ma anche calcio, fosforo e vitamine A e C. Caratteristiche organolettiche che la rendono un frutto dalla spiccata azione dissetante, particolarmente indicato quindi per il consumo estivo, da consumare fresco o anche come componente di marmellate, dolci, sciroppi e succhi: una delizia fresca e invitante per alleviare le giornate di calura.
Già pubblicato su: www.marigliano.net
Fotografie SEMA, 2009, Giuseppe Ottaiano © tutti i diritti riservati, la riproduzione di questa foto è vietata ai sensi legge 633/41 e successive modifiche e integrazioni.